Di carcere si può morireDue storie, due vite spezzate. Un luogo: il carcere. Analogie, arresto per detenzione di sostanze stupefacenti e morte avvenuta poco dopo l'arresto per cause ancora da accertare.
Sono questi gli elementi che accomunano le storie di Aldo Bianzino e Stefano Cucchi, deceduti misteriosamente, il primo al carcere di Capanne Perugia il 14 ottobre 2007, il secondo a Regina Coeli, Roma nella notte tra i 22 e il 23 ottobre. Anomalie in entrambi i casi: dai segni di tumefazioni varie sul volto di Stefano, come affermato dai genitori, all'autopsia su quello di Aldo che porta a rilevare lo spappolamento di fegato e milza e le lesioni cerebrali che ne avrebbero provocato la morte.
Si è già tenuta l'udienza preliminare per il rinvio a giudizio nei confronti di un agente della polizia penitenziaria addetto alla sorveglianza della sezione 2° B in cui Aldo si trovava. “ L'agente è imputato di aver omesso di informare il sanitario di guardia che Aldo richiedeva aiuto, di non aver prestato soccorso e di aver cercato di nascondere quanto realmente accaduto quella notte falsificando il registro di accesso alla sezione del carcere. Purtroppo questo percorso giudiziario cerca di mettere in luce solo alcuni aspetti di quello che verosimilmente è accaduto, dando per scontato il malore accidentale di Aldo. Niente ci è dato sapere di come mai una persona sia entrata in carcere in salute e ne sia uscita morta.”
Questo e altro è quanto si può leggere sul blog dedicato allo stesso Aldo e curato dal Comitato Verità per Aldo, di cui fanno parte anche i familiari (http://veritaperaldo.noblogs.org/).
(...) Inoltre sussitono altri elementi alquanto strani nell'intera vicenda: la nudità del corpo (aveva solo una maglietta addosso), la posizione anomala sulla branda, la porta della cella aperta (da quanto si evince dalle telecamere a circuito chiuso), il corpo lasciato a terra di fronte all'infermeria chiusa, i tardivi soccorsi nonostante le richieste di aiuto (secondo quanto raccontano i testimoni), l'orecchio tumefatto. Tutti elementi che allertano immediatamente i familiari e gli amici di Aldo, prima fra tutti la compagna, Roberta Radici, scomparsa recentemente, e che immediatamente dopo l'accaduto scriveva in una lettera resa pubblica: “Il medico legale, che mi ha chiamato, alla presenza mia, dell'ex moglie di Aldo, delle sue avvocatesse e dell'avvocato d'ufficio, quindi davanti a ben cinque persone, mi chiese, secondo il mio punto di vista, quali potessero essere le motivazioni per cui Aldo era stato ucciso. Risposi che non credevo ci fossero motivazioni... ho pensato a un pestaggio andato oltre le intenzioni. Questo signore, il medico legale e non è un mio amico o un passante e quindi ha tutti gli elementi per poter fare delle affermazioni non casuali, ha detto: "No, signora. Questi sono colpi dati con l'intento di uccidere. Colpi dati scientemente, con una tecnica scientifica usata anche presso alcune corporazioni militari, che mirano a distruggere gli organi vitali senza lasciare traccia alcuna. Perché non si capisce come mai questo cristiano - così si esprimeva - abbia il fegato distaccato e spappolato e da fuori non ci sia neanche un segno, nemmeno sulle ginocchia a dimostrazione che non è caduto. In più ha quattro emorragie cerebrali".
Anomalie anche nell'istruttoria, definita “lacunosa” dal legale di parte: "Di fatto - scrive l’avvocato Zaganelli nella richiesta di opposizione - pur in presenza di un’ipotesi di omicidio, incomprensibilmente la cella e gli oggetti ivi contenuti non vennero sottoposti a sequestro, né disposte indagini tecnico scientifiche... pure la nudità del corpo - sottolinea - poteva suggerire l’ipotesi di un oltraggio fisico o morale anteriore al decesso che si presume sia stato portato a immediata conoscenza del direttore, dell’ispettore capo e dei medici del carcere" (...)
arrestato per modesto possesso di droga il 16 ottobre scorso. Al momento dell’arresto da parte dei carabinieri, secondo quanto riferito dai familiari, stava bene, camminava sulle sue gambe, non aveva segni di alcun tipo sul viso. La mattina seguente, all'udienza per direttissima, il padre nota tumefazioni al volto e agli occhi. Non viene inviato agli arresti domiciliari, eppure i fatti contestati non sono di particolare gravità. Dal carcere viene disposto il ricovero all’ospedale Pertini. Pare per “dolori alla schiena”. Ai genitori non è consentito di vedere il figlio. I genitori rivedono il figlio per il riconoscimento all’obitorio e si trovano di fronte a un viso devastato. In ospedale viene diagnosticata “la frattura corpo vertebrale L3 dell'emisoma sinistra e la frattura della vertebra coccigea”.
Comincia il rimpallo fra Regina Coeli e Fatabenefratelli e poi all’ospedale Sandro Pertini. La famiglia viene avvisata del ricovero di Stefano solo alle ore 21 ma non riuscirà mai a vederlo o parlargli.
notizie e approfondimenti:
L'Unità, ancora L'Unità, Articolo 21,
Sicuri da morire, il Sole 24 Ore, il Manifesto,
ancora il blog di Beppe Grillo,
Corriere della Sera, il blog di Jacopo Fo,
Rassegna Stampa, ...
mi vergogno di essere un uomo, se l'uomo è questa orrenda bestia capace di crimini così assurdi, inutili e stupidi ...


